
Per anni, la parola “ormoni” è stata sufficiente a generare timore. In menopausa, questo ha avuto una conseguenza concreta: milioni di donne hanno continuato a convivere con secchezza vaginale, dolore nei rapporti, bruciore e disturbi urinari, considerandoli un prezzo inevitabile da pagare al tempo che passa.
Oggi sappiamo che non è così. E, soprattutto, che non dovrebbe più esserlo.
Negli ultimi anni la ricerca scientifica ha chiarito un punto fondamentale: non tutte le terapie ormonali sono uguali. La recente presa di posizione della FDA segna un passaggio storico, perché riconosce ufficialmente ciò che la comunità scientifica sostiene da tempo: le terapie ormonali locali a basso dosaggio non possono essere giudicate con gli stessi criteri delle terapie sistemiche.
È un cambio di prospettiva che ha un impatto diretto sulla qualità di vita delle donne.
Il punto di svolta: la revisione delle avvertenze FDA
Nel novembre 2025 la FDA (Food and Drug Administration) ha annunciato l’avvio di una procedura per riconsiderare le avvertenze più severe (“black box warnings”) applicate ai farmaci estrogenici, inclusi quelli vaginali a basso dosaggio.
Queste avvertenze, nate in un contesto storico e scientifico diverso, hanno avuto un effetto collaterale potente: hanno alimentato paura, spesso sproporzionata rispetto al reale profilo di rischio dei trattamenti locali.
Come ha spiegato Steve J. Fleischman, MD, Presidente dell’ACOG, molti degli effetti collaterali elencati – trombosi, ictus, cancro, demenza – derivano dai dati sulle terapie ormonali sistemiche e non sono automaticamente trasferibili agli estrogeni vaginali, che hanno un assorbimento sistemico minimo.
Il risultato? Donne con prescrizione corretta che rinunciavano alla terapia, nonostante un potenziale beneficio elevato e un rischio molto basso.
La decisione della FDA va nella direzione opposta: meno allarmismo, più accuratezza scientifica.
La sindrome genito-urinaria della menopausa: un problema reale, non “secondario”
La riduzione degli estrogeni in menopausa non riguarda solo il ciclo mestruale. Gli estrogeni sono essenziali per mantenere: lo spessore e l’elasticità della mucosa vaginale, una corretta lubrificazione, un pH vaginale acido e protettivo, l’equilibrio del microbiota vaginale
Quando questi ormoni diminuiscono, i tessuti diventano più sottili, secchi e fragili. Il pH cambia, la flora vaginale si altera e compaiono sintomi che oggi definiamo sindrome genito-urinaria della menopausa (GSM): secchezza persistente, bruciore, dolore nei rapporti, infezioni urinarie ricorrenti, urgenza e frequenza minzionale non sono disturbi marginali. Sono sintomi cronici, progressivi e con un impatto profondo sulla qualità di vita, sulla sessualità e sul benessere emotivo.
E, a differenza delle vampate, non tendono a risolversi spontaneamente.
Cosa sono davvero le terapie ormonali locali
Le terapie ormonali locali nascono per rispondere esattamente a questo problema.
Non “curano la menopausa”, ma trattano i tessuti che soffrono per la carenza estrogenica.
Si applicano localmente (ovuli, capsule, creme vaginali) e utilizzano:
Il punto chiave è questo: l’azione è locale, non sistemica. I livelli di ormoni nel sangue restano sovrapponibili a quelli di una donna non trattata. È proprio questa distinzione che la FDA oggi riconosce con maggiore chiarezza.
Perché funzionano (e perché sono diverse dalla terapia sistemica)
Gli estrogeni vaginali favoriscono:
Il prasterone, invece, viene convertito “on demand” all’interno delle cellule vaginali negli ormoni necessari, senza sovraccaricare l’organismo.
Il risultato non è solo la riduzione del dolore, ma un miglioramento globale del comfort intimo, della risposta sessuale e della percezione del proprio corpo.
Sicurezza: cosa dice oggi la scienza
Le principali società scientifiche internazionali concordano su un punto: ai dosaggi utilizzati localmente, l’assorbimento sistemico è minimo.
Questo significa che i rischi associati alla terapia ormonale sistemica non sono sovrapponibili a quelli delle terapie vaginali. È esattamente questa distinzione che per anni non è stata comunicata in modo chiaro.
Per la maggior parte delle donne, le terapie ormonali locali hanno un profilo di sicurezza favorevole e possono essere utilizzate anche a lungo termine, con controlli periodici.
Nei casi di tumori ormono-sensibili, la scelta deve essere sempre personalizzata e condivisa in ambito multidisciplinare, coinvolgendo l’oncologo. Ma anche in questi contesti, oggi il dibattito è più equilibrato e basato sui dati.
Un cambio di paradigma culturale, non solo terapeutico
La revisione delle avvertenze FDA non è solo un atto regolatorio. È un segnale culturale: la salute intima delle donne merita lo stesso rigore scientifico con cui si valutano il rischio cardiovascolare o la salute ossea.
Ignorare la sindrome genito-urinaria significa accettare dolore, rinuncia e silenzio. Trattarla significa riconoscere che la menopausa non è una fine, ma una trasformazione che può essere accompagnata con strumenti adeguati.
Oggi abbiamo dati, terapie mirate e una maggiore consapevolezza istituzionale.
La paura non può più essere il criterio guida.
Le decisioni della FDA rappresentano un passo importante verso una medicina più precisa, più onesta e più vicina alla vita reale delle donne.
Parlare di terapie ormonali locali significa parlare di qualità di vita, dignità e libertà dal dolore.
E questa, finalmente, è una conversazione che può uscire dal silenzio
